L’importanza di un orologio per il calcolo di latitudine e longitudine
Fin dall’origine della navigazione, l’uomo ha cercato un modo semplice e veloce per calcolare la longitudine e la latitudine, con le quali orientarsi meglio in mare. Se, però, conoscere la seconda non è mai stato un problema grazie al sestante, rintracciato già ai tempi degli egizi, per la longitudine non si può dire la stessa cosa. Calcolare questo dato è stato sempre complicato per la navigazione e se, in origine, venivano sfruttati il sole e le stelle, considerati le uniche guide affidabili per intraprendere viaggi lunghi e faticosi, poi furono gli orologi a offrire la soluzione definitiva. Grazie, infatti, a dei meccanismi sempre più precisi e affidabili messi a punto nel corso dei decenni, questi preziosi strumenti sono andati oltre la loro originale funzione di indicare l’orario, offrendo altre informazioni come, appunto, la longitudine e la latitudine.
Cosa sono longitudine e latitudine
Longitudine e latitudine sono due fattori indispensabili per l’orientamento in mare e molto preziosi, soprattutto, quando una nave deve trovare il giusto punto di arrivo a terra. Nel primo caso, si tratta di una coordinata in grado di indicare la posizione di un punto sulla terra posto a est o a ovest rispetto al primo meridiano, ovvero la linea immaginaria che collega i due poli del globo terrestre. Per misurarla, si deve tracciare un angolo che parte dagli 0° del primo meridiano e che poi raggiunge i +180° verso est e i -180° verso ovest. Questo dato è sempre stato fondamentale per permettere alle navi di orientarsi, soprattutto durante la fase di avvicinamento alla terra ferma, durante la quale, spesso, si commettevano degli errori che causavano il naufragio della nave stessa. Riguardo, invece, la latitudine, questa indica la posizione tracciata lungo una linea immaginaria che collega il nord con il sud, per la misurazione della quale veniva usato il cosiddetto sestante. Si tratta di uno strumento in grado di misurare l’angolo di elevazione del Sole o della Stella Polare sopra l’orizzonte. In pratica, la misura veniva effettuata allineando l’oggetto a disposizione con l’orizzonte e la data e l’angolo di misura riuscivano a calcolare una posizione specifica sulla mappa nautica.

Gli orologi: strumenti indispensabili per navigare e orientarsi
Per molti decenni la longitudine è rimasta un mistero irrisolto, causa anche di sciagure e tragedie in mare. Sfruttare i corpi celesti non sempre, infatti, era un metodo affidabile, così in molti casi le navi andavano incontro a drammatici naufragi che causavano la morte di tutti i membri dell’equipaggio. L’osservazione dei corpi celesti dal ponte di una nave in navigazione non era, infatti, un metodo sufficientemente preciso, per cui molti studiosi e scienziati si misero subito a lavoro per trovare una soluzione migliore. Il primo fu, nel 1530, l’olandese Rainer Gemma Frisius che indicò negli orologi l’unica soluzione definitiva al problema del calcolo della longitudine. Questi, infatti, erano già capaci, fin dai tempi degli antichi romani, di indicare la latitudine, per cui si proponevano come gli strumenti più adatti alla circostanza. Secondo la sua teoria, era necessario che ogni nave fosse attrezzata con un orologio di precisione, grazie al quale confrontare l’ora indicata dall’orologio stesso, basata su un meridiano di riferimento, con quella locale che si poteva ottenere dal rilevamento astronomico. In questo modo, calcolare la longitudine sarebbe stato un gioco da ragazzi. Tuttavia, in quegli anni anche i migliori orologi come, per esempio, quelli da torre, avevano, comunque, una tolleranza di qualche minuto, per cui non sempre le navi riuscivano a tenere la giusta rotta e finivano per allungare i tempi del viaggio o per andare incontro a tragedie peggiori. Dovette trascorrere oltre un secolo prima che qualcun altro perfezionasse il metodo di Frisius, abbattendo il margine di errore da alcuni minuti a 10-15 secondi. Il merito andò a Christian Huygens che, basando le sue ricerche sulla teoria dell’isocronismo del pendolo di Galileo Galilei, riuscì ad applicarla agli orologi. Tuttavia, il problema non fu risolto del tutto, perché tenere un orologio a pendolo su una nave costantemente soggetta allo spostamento dalle onde, non era una strada facile da percorrere. Pochi anni più tardi, infatti, lo stesso Huygens si rese conto del problema e, nel 1660, presentò il suo nuovo cronografo navale. Il progetto, tuttavia, si dimostrò inadatto e l’idea fu scartata per sempre, tanto che l’inglese Robert Hooke propose, come alternativa, l’utilizzo di un bilanciere a molla. Lo strumento era formato da una sottile molla arrotolata a spirale e agganciata al bilanciere, cosicché costituisse un sistema oscillante. Il principale vantaggio del bilanciere a molla, rispetto all’orologio a pendolo, era di essere pressoché insensibile agli spostamenti di posizione della nave. La nuova invenzione, però, non soddisfò del tutto le esigenze, così la disputa sul calcolo della longitudine andò avanti ancora per diversi anni, tanto che nel 1714 l’Inghilterra decise, addirittura, di istituire il cosiddetto Longitude Act, ovvero un premio di 20.000 sterline riservato a colui che, in rotta tra la costa inglese e le Antille, sarebbe stato in grado di determinare la longitudine con un margine massimo di errore di mezzo grado.
Il cronometro marino di John Harrison
Proprio all’indomani del Longitude Act, l’orologiaio e inventore inglese John Harrison decise di accettare la sfida del Governo britannico e si mise all’opera per trovare una soluzione definitiva al calcolo della longitudine. Harrison era nato il 3 aprile del 1693 e fin da bambino aveva dimostrato un particolare interesse per la meccanica, tanto che a soli vent’anni aveva già costruito il suo primo orologio. L’iniziativa promossa dall’Inghilterra rappresentò un nuovo stimolo per l’uomo che nel 1728 si mise al lavoro per costruire il primo cronometro marino. Il progetto fu completato nel 1735 e rappresentò la svolta per il calcolo della longitudine, perché grazie alla sua invenzione la Marina inglese e le navi commerciali trassero un fondamentale vantaggio rispetto al resto del mondo. Per la sua invenzione più importante, Harrison lavorò duramente, tenendo in considerazione ogni dettaglio da risolvere, a cominciare dalla resistenza all’umidità, ma anche alla corrosione e a temperature e pressioni particolari. Inoltre, il suo orologio doveva resistere anche alle continue sollecitazioni e al rollio delle navi e il risultato finale fu, dunque, un orologio di circa un metro e mezzo di altezza e pesante 35 chili. Alla base del suo funzionamento, c’era un meccanismo di carica a molla che gli permetteva di assicurare un’autonomia di 24 ore e un margine di errore di non oltre 3-4 secondi al mese. Tuttavia, questo primo modello si rivelò presto troppo ingombrante per essere trasportato su ogni nave, così Harrison tornò a progettare un altro orologio, più agevole e meno pesante. Nel giro di una ventina d’anni, l’orologiaio-inventore costruì quattro modelli di cronometro marino, terminando l’ultimo nel 1759, dal peso di appena un chilo e mezzo. Il primo test fu effettuato due anni più tardi, a bordo di una nave in viaggio dall’Inghilterra verso la Giamaica e l’orologio dimostrò tutta la sua affidabilità, accumulando un errore di appena 5 secondi. Il cronometro marino valse a Harrison un premio di 10.000 sterline, anziché dei 20.000 promessi, ma un posto tra i grandi inventori del genere umano. Oggi i suoi modelli di cronometri marini sono esposti presso l’Osservatorio di Greenwich.
L’orologio: un intramontabile aiuto meccanico
John Harrison fu una figura chiave nella risoluzione del problema del calcolo della longitudine durante la navigazione, tuttavia anche altri scienziati si preoccuparono di migliorare la sua invenzione, soprattutto dopo la sua scomparsa avvenuta nel 1776. Tra questi, Pierre LeRoy e John Arnold riuscirono a semplificare ulteriormente la struttura e la meccanica del cronometro marino, tanto da renderlo un oggetto commerciabile a prezzi più economici e fabbricabile in scala industriale. Dalla fine del ‘700, ogni nave era fornita del suo cronometro marino, così da rendere più agevole, più veloce e meno rischiosa la navigazione in mare e lo strumento inventato da Harrison varcò ben presto i confini marini per diventare un oggetto multifunzionale. L’uomo d’affari americano Aaron Dennison ne sviluppò per primo la fabbricazione in catena, mentre la ditta Americana Hamilton Watch&Co lo produsse in serie per l’esercito. Ancora oggi, l’invenzione di Harrison rappresenta un pezzo di storia fondamentale per l’evoluzione delle civiltà e delle tecnologie, perché grazie ai cronometri marini è stato, da un lato, colmato il gap di precisione degli orologi portatili e, dall’altro, è stata data pari dignità a questi modelli rispetto a quelli statici, considerati da sempre più affidabili e precisi. Da allora, quando si combatteva tutti i giorni per affinare un’invenzione che sarebbe diventata fondamentale per la storia dell’uomo, l’orologio è diventato un compagno insostituibile per l’essere umano che ne ha fatto un alleato prezioso per ogni aspetto della sua vita. Basti pensare agli orologi moderni, in cui l’indicazione dell’orario è ormai diventato l’aspetto meno importante, soppiantato dalla tecnologia GPS, dalla bussola o dalle varie funzionalità per controllare i parametri vitali.