La crisi del quarzo

Per secoli gli orologi sono stati considerati un bene di lusso. Erano riservati all’aristocrazia e ai membri dell’élite della società o utilizzati per scopi funzionali nelle professioni militari e in altre in cui era necessario misurare il tempo. L’orologio era, quindi, strumento di lavoro o segno di appartenenza alle alte sfere.
L’orologeria era una vera e propria forma d’arte che una generazione lasciava in eredità a quella successiva.
All’inizio del 1900, la tecnologia necessaria per la produzione di orologi era migliorata notevolmente facendoli diventare più accessibili e più pratici. Con la prima guerra mondiale l’orologio da taschino fu soppiantato dal più comodo orologio da polso.
Durante la seconda guerra mondiale, l’industria elvetica degli orologi crebbe in modo esponenziale. A causa della neutralità durante la guerra, gli orologiai svizzeri continuarono a produrre orologi per il mercato, mentre altri paesi dovevano utilizzare i loro impianti di produzione per realizzare orologi per i militari.
Alla fine della guerra, l’orologio da polso era diventando un accessorio essenziale per ogni uomo d’affari ben vestito e per ogni casalinga alla moda. La metà degli orologi indossati nel mondo intero, veniva costruita in Svizzera.
Il monopolio svizzero
All’inizio del XX secolo e fino a ben dopo la seconda guerra mondiale, il 95% di tutti gli orologi meccanici venduti nel mondo proveniva dalla Svizzera.
Non c’era praticamente concorrenza e la produzione veniva effettuata in piccole imprese controllate dallo stato, la maggior parte del lavoro veniva svolto a mano e con macchine rudimentali. Già allora gli orologi svizzeri erano sinonimo di perfezione, artigianalità e qualità. Migliaia di persone erano impiegate, direttamente o indirettamente, nell’industria dell’orologeria.
Fino ai primi anni Settanta la condizione dell’industria svizzera era a dir poco florida. La situazione, però, era destinata a cambiare repentinamente con conseguenze molto gravi.
Gli anni ’70 e l’introduzione del quarzo
Gli anni ’70 hanno segnato un periodo di transizione per l’industria orologiera in generale e in particolare per quella svizzera. Il giorno di Natale del 1969, il marchio di orologi giapponese Seiko introdusse sul mercato il primo orologio da polso al quarzo alimentato a batteria: l’Astron.
Iniziò così quella che è conosciuta come la Crisi del Quarzo che colpì l’intera industria dell’orologeria mettendola quasi in ginocchio. In 10 anni la crisi costò il lavoro a circa due terzi dei dipendenti del settore e alimentò grandi timori per la sopravvivenza dello stesso.
Oltre al fascino della nuova tecnologia dall’aspetto futuristico, gli orologi al quarzo conquistarono velocemente i consumatori per il loro prezzo, la loro robustezza e per la loro precisione.
Quello che era diventato, in secoli di storia, un marchio indice di infallibilità, la famosa dicitura Swiss Made divenne, improvvisamente, priva di valore.
I centri di produzione Seiko sorsero ovunque, mentre gli orologi meccanici di fabbricazione svizzera furono considerati troppo cari. Si arrivò, addirittura, a metterne in discussione la precisione. Il mercato degli orologi tradizionali subì un duro colpo, in particolare quello svizzero.
Si verificò un vero paradosso industriale: anche se uno dei primi movimenti al quarzo al mondo, infatti, era stato prodotto da un consorzio di orologiai svizzeri già all’inizio degli anni settanta (Omega, Rolex e Patek Philippe utilizzavano all’epoca il cosiddetto movimento Beta 21), alla fine del decennio,l’industria orologiera in Svizzera era praticamente sull’orlo del collasso.
La reazione degli orologiai svizzeri
La reazione degli orologiai svizzeri non si lasciò attendere. Nel 1970, Hamilton rilasciò il Pulsar. L’orologio non era solo al quarzo, ma anche digitale anziché analogico. Nel 1974, Omega presentò il Marine Chronometer, il primo orologio al quarzo a essere certificato COSC (Contrôle Officiel Suisse des Chronomètres). Solo due anni dopo, Omega presentò anche il Chrono-Quartz: il primo cronografo analogico-digitale con movimento al quarzo.
Tuttavia, l’industria orologiera svizzera e mondiale era nel panico più totale. Si temeva che la Crisi del Quarzo potesse significare la fine di secoli di tradizione orologiera, una preoccupazione non infondata. Seiko, in quel particolare momento storico, era diventata l’azienda leader: nel 1977 era, infatti, la più grande azienda di orologi al mondo in termini di entrate, per un totale di circa $ 700 milioni e con una produzione di circa diciotto milioni di pezzi. Il successo di Seiko costrinse l’industria orologiera svizzera a innovarsi.
Swatch, la qualità svizzera a prezzi contenuti
Lo sforzo per salvare l’industria orologiera svizzera fu guidato da due uomini: Ernst Thomke e Nicolas G. Hayek. Thomke affrontò la ristrutturazione dell’ASUAG, uno dei più grandi gruppi dell’industria orologiera svizzera dell’epoca. Il suo lavoro di razionalizzazione, riorganizzazione e riduzione dei costi di produzione portò il primo barlume di speranza per l’industria orologiera svizzera dall’inizio della crisi del quarzo.
C’era bisogno, però, di un ulteriore sforzo.
All’inizio degli anni ’80, le banche svizzere, preoccupate di salvare la terza industria del Paese, incaricarono il consulente di gestione Nicolas George Hayek di analizzare la situazione apparentemente disperata.
Il piano di Hayek si basava su due vie d’uscita: sulla fusione tra i due più grandi gruppi dell’industria orologiera svizzera, ASUAG e SSIH, per formare quello che oggi è noto come Swatch Group, e sulla creazione di una nuova collezione di orologi che offrisse qualità svizzera a un prezzo basso.
Hayek fece costruire orologi al quarzo e automatici con casse di plastica e lanciò una miriade di orologi Swatch sui mercati internazionali: una strategia di marketing provocatoria e insolita per l’industria orologiera svizzera.
Gli orologi Swatch erano piatti, leggeri, colorati ed eccentrici. Gli orologi Swatch erano in diretta concorrenza con gli orologi giapponesi anche per il prezzo. Lo Swatch divenne improvvisamente un accessorio trendy della cultura pop mondiale a beneficio della produzione svizzera che tornò prepotentemente di moda. Letteralmente un colpo di genio.
Per gli svizzeri fu il punto di svolta nella crisi del quarzo. Tra il 1974 e il 1983, la produzione orologiera svizzera era stata dimezzata, passando da 96 milioni di unità a 45 milioni. Tuttavia, nel 1985, appena due anni dopo la creazione dello Swatch Group, la produzione balzò a 60 milioni di unità.
Il grande successo degli orologi Swatch ha costituito la base finanziaria per il rilancio dei grandi marchi tradizionali. Nacque l’idea nota come piramide di Hayek. Oggi lo Swatch Group comprende anche i marchi Glashütte Original, Blancpain, Tissot, Certina e Hamilton. Nicolas G. Hayek è morto nel 2010.
Il Royal Oak di Audemars Piguet, un classico diventato leggenda
Il Royal Oak è uno degli orologi più celebri di tutti i tempi. Ma perché questo orologio ha avuto un tale successo nel panorama degli orologi di lusso? E cosa lo ha portato diventare il sogno di ogni collezionista? Questo straordinario orologio, nato dalla crisi e progettato per necessità in una sola notte, è diventato leggenda e ha salvato Audemars Piguet dal fallimento.
All’inizio degli anni ’70, come abbiamo visto, tutti gli orologiai meccanici stavano affrontando una situazione terribile: i movimenti al quarzo stavano prendendo prepotentemente il sopravvento.
Gli orologi al quarzo erano appena stati inventati e stavano crescendo in popolarità, grazie alla loro durata, all’alta precisione e al prezzo conveniente.
L’orologiaio Audemars Piguet era stato duramente colpito dalla crisi del quarzo. Si rese conto che, senza apportare alcun tipo di cambiamento, avrebbe presto cessato l’attività a causa del crollo delle vendite. Audemars Piguet decise di compiere un azzardo, una mossa audace. Aveva in mente di lanciare sul mercato un tipo di orologio completamente nuovo: un orologio sportivo di lusso.
La creazione di un mito
Nel 1971, alla vigilia del The Swiss Watch Show (ora chiamato Bazel World), Audemars Piguet cercò l’aiuto del designer ginevrino Gerald Genta al quale commissionò la progettazione di un orologio sportivo in acciaio totalmente nuovo e impermeabile.
Genta, nato nel 1931, si era affermato con i suoi precedenti lavori per Universal Genève, Omega e Patek Philippe.
Con meno di un giorno di preavviso, Genta si mise all’opera. Dopo una sola notte, Genta consegnò ad Audemars Piguet il progetto di un innovativo orologio sportivo interamente in acciaio.
Prendendo ispirazione da un casco per immersioni subacquee, il design di Genta presentava una cassa da 39 mm, viti a vista sulla lunetta con una forma della cassa ottagonale e un bracciale integrato completamente in acciaio. Considerando che il design era principalmente ispirato al casco di un subacqueo, Audemars Piguet decise che anche il nome dell’orologio dovesse essere in linea con il tema nautico: il nome Royal Oak deriva, infatti, da una flotta di 8 navi (da qui il quadrante ottagonale della Royal Navy britannica di metà del 1600 costruite in quercia (oak).
Accoglienza tiepida
Al prezzo di 3300 franchi svizzeri ($ 3377 USD), l’accoglienza iniziale per il Royal Oak non fu quella che Audemars Piguet aveva sperato. Il Royal Oak fu considerato, dagli addetti ai lavori, troppo costoso. L’idea di un orologio sportivo di lusso non convinse, nell’immediato, nemmeno i consumatori.
Al momento della sua uscita, il Royal Oak era più costoso di un orologio Patek Philippe in oro e 10 volte più costoso della maggior parte degli orologi da polso Rolex in acciaio.
Audemars Piguet impiegò tre anni per vendere i suoi primi 1.000 Royal Oak. Dopo un po’, il pubblico cominciò ad apprezzare l’idea del Royal Oak e ad essere attratto dal suo design unico. Contribuì alla notorietà del Royal Oak il fatto che molte celebrità iniziarono ad indossarlo. Basti pensare che il primo Royal Oak in assoluto fu acquistato dallo Scià dell’Iran.
Le ragioni del successo
La coraggiosa decisione di Audemars Piguet di creare un orologio diverso da qualsiasi altro iniziò a dare i suoi frutti. salvando Audemars Piguet dal fallimento.
Oggi il Royal Oak è il modello di punta di Audemars Piguet. Dalla sua uscita si sono susseguite diverse edizioni e versioni: ne esistono modelli in materiali preziosi come l’oro rosa e l’oro bianco, modelli con cronografo e con splendidi calendari perpetui. Ci sono anche modelli persino più grandi del già considerevole Royal Oak originale, come il Royal Oak Offshore.
Il continuo successo del Royal Oak può essere attribuito all’impatto che ha avuto sulla storia degli orologi di lusso. Il Royal Oak ha cambiato il mondo dell’orologeria e ha aperto la strada agli orologi sportivi di lusso come li conosciamo oggi. Oggi è normale per i produttori di orologi svizzeri di lusso, Omega, Patek Philippe e Jaeger-Lecoultre, offrire modelli simili. Il Royal Oak di Audemars Piguet è comunque stato il primo in assoluto.
Un altro motivo per cui il Royal Oak ha ancora tanto successo è il suo aspetto unico con le sue grandi dimensioni e la caratteristica forma geometrica. Possedere un Royal Oak, che si tratti di un Royal Oak originale, un Royal Oak Offshore, un Royal Oak Chronograph, un Royal Oak Offshore Chronograph, un Royal Oak Jumbo o un Royal Oak Perpetual Calendar, è considerato un must tra molti collezionisti.
Il Royal Oak ha ridefinito l’Alta Orologeria, capovolgendone gli schemi consolidati in secoli di storia artigiana. Prima del Royal Oak, il prezzo dell’orologio era definito essenzialmente dal valore del metallo utilizzato. Dal Royal Oak in poi, il prezzo di un orologio, nella definizione del prezzo, si cominciò a considerare anche la complessità del design, i meccanismi interni e le finiture.
Il Royal Oak ha contribuito a ridefinire il mercato degli orologi di lusso nel momento di crisi più nera per l’orologeria svizzera.